GIOVANNI MARIA BORRI, pittore del 1800

autore REDAZIONE SITO / martedì, 04 apr 2023

A Moretta, nella parrocchia di San Giovanni Battista, si possono ammirare le XIV stazioni della Via Crucis. L’opera, firmata Giovanni Maria Borri, riveste particolare importanza perché è l’unica nella sua quanto mai feconda produzione. Datata 1875, è una delle sue ultime opere; l’artista, infatti, sarebbe morto il 2 marzo 1876. 

Giovanni Maria Borri fu uno dei pittori piemontesi che più si distinsero nel panorama artistico del 1800.

Giovanni Maria Borri nacque, il 29 giugno 1811, a Sommariva del Bosco: l’abitato si snoda sulle propaggini del Roero dove le colline cedono il posto alla pianura e la provincia di Cu­neo confina con quella di Torino; in lontananza le Alpi, segnate dal profilo del Monviso, formano una cornice in­confondibile.

Il paese, un tempo suggestivo nella sua semplicità, punteggiato dai campanili delle numerose chiese, dominato dalla mole del suo castello, rimase impresso nella mente del pittore, che lo utilizzò, in modo più o meno dettagliato, come sfondo di parte della sua produzione artistica.

Suo padre, Giovanni Antonio, e il nonno paterno, Giovanni Maria, erano contadini come la quasi totalità degli abitanti; la produzione agricola era, in­fatti, l’attività economica primaria: qualche vigneto (nella parte collinare), campi e prati geometricamente dise­gnati, in appezzamenti più o meno grandi, suddivisi anche da piante di gelso che attestavano l’importanza (in passato) della bachicoltura.

Secondo una tradizione consolidata, come primogenito, avrebbe dovuto continuare il lavoro di famiglia: ma voleva dipingere. La ferma e severa opposizione del padre non scalfì la determinazione del figlio che continuava a disegnare nelle situazioni più disparate, anche quando veniva chiuso in punizione in una stanza disadorna. La sua ostinazione indusse il padre a cedere.

Nel 1834, compare nell’elenco dei 29  alunni che frequentavano la Scuola di pittura e del nudo presso la Regia Accademia Albertina di Belle Arti (ora Accademia Albertina) a Torino; dal breve giudizio, stilato per ogni allievo, apprendiamo che era un «giovane artista molto diligente e studioso» e che dipingeva già «a fresco sul muro a porzioni»: quindi aveva un apprendistato artistico alle spalle, ma non è noto dove e con chi lo abbia svolto. A sostenere i costi del soggiorno a Torino contribuì una sovvenzione di lire 120, che gli venne assegnata dall’Accademia, il 10 giugno 1834, per la buona condotta e il profitto dimostrati durante la frequenza. La stessa, definita «gratificazione», con lo stesso importo di lire 120, venne concessa all’artista, il 30 maggio 1836. La frequenza all’Accademia segnò la sua ascesa come pittore; il soggiorno a Torino allargò i suoi orizzonti, e non solo nel settore artistico.

Un altro momento significativo nel percorso artistico del Borri si colloca nel 1842. Il 28 febbraio di quell’anno veniva fondata, a Torino, da undici nobili e artisti riuniti in casa del conte Cesare della Chiesa di Benevello, in contrada Carlo Alberto 13, la Società Promotrice delle Belle Arti: scopo dichiarato era promuovere nuove forme d’arte che superassero l’imitazione dei modelli del passato, alla base della didattica nelle Accademie di Belle Arti.

Altro scopo era quello di offrire agli artisti, attraverso un’esposizione annuale, la possibilità di farsi conoscere, di vendere le loro opere, ma anche di stimolare la loro creatività mediante il confronto con gli altri partecipanti, provenienti da svariate regioni d’Italia e stranieri (da Parigi, Amsterdam, Ginevra, Barcellona). Per il grande numero di richieste le opere venivano vagliate da una Commissione. I quadri di Giovanni Maria Borri  compaiono nei cataloghi di ogni anno, dal 1842 fino al 1875. Espose a fianco dei più grandi artisti del tempo, come Carlo Pittara, Telemaco Signorini, Antonio Fontanesi. Le Esposizioni della Promotrice attiravano migliaia di visitatori: i soli paganti, ad esempio, nel 1862, furono 16.907. Torino, quindi, diventò per il Borri un appuntamento fisso nella primavera di ogni anno.

Il 1854 fu un anno importante a livello personale per il pittore. Sul finire, il 2 dicembre, Giovanni Maria Borri, all’età di 43 anni, sposava Teresa Tesio, di anni 27, nella  parrocchia del Corpus Domini a Torino.

L’unione fu allietata dalla nascita di dieci figli: tre maschi e sette femmine, ma quattro (due maschi e due femmine) morirono dopo poche ore, pochi mesi, pochi anni. Fuori dall'ambito familiare viene descritto come allegro, gioviale, disponibile allo scherzo, addirittura burlone, caratteristiche queste che resero facili i suoi rapporti e che, in parte, traspaiono dai due autoritratti, dove, dietro la pensosità dello sguardo, è possibile cogliere un guizzo d’ironia.

La morte lo colse a Torino, il 2 marzo 1876. Fu sepolto nel Cimitero Monumentale, seconda ampliazione, arcata 201, nella tomba del cognato Luigi Tesio.

La ricca produzione di Giovanni Maria Borri è costituita da scene di genere, natura morta, ritratti, soggetti religiosi, che si intrecciarono nell’arco della sua attività, come attestano le date dei quadri che ci sono pervenute.

I titoli di molti quadri di Giovanni Maria Borri rimandano alla pittura di genere, nuova forma d’arte, che traeva ispirazione dal mondo della campagna: personaggi e animali; dalla vita quotidiana: scene di famiglia, in interni di case: cucine affumicate, con un grande focolare, modeste suppellettili.

Della maggior parte di questi ignoriamo il  destino; abbiamo solo due esempi; uno di questi è stato trovato a Chicago, Stati Uniti d’America.

Giovanni Maria Borri, nel periodo in cui visse, si distinse particolarmente nel genere “natura morta”, così chiamato perché rappresentava soggetti inanimati. Popolò i suoi quadri con frutta (grappoli d’uva nera e bianca, pesche, pere, mele, meloni, fichi già secchi),  presentata in un canestro o, semplicemente, poggiata o quasi lasciata cadere in una finta casualità, su un tavolo scuro, semplice ed essenziale, senza decorazioni. Talvolta optò per ortaggi (cipolle, cavoli, peperoni). Inserì vasellame da cucina, pignatte e brocche di terracotta, prodotto usato fin dall’antichità, perché di facile realizzazione, poco costoso, resistente agli urti, sbrecciature, graffi e usure.

C’era un’ampia richiesta di questi quadri, perché i committenti, famiglie nobili e dell’alta borghesia, li sceglievano per il loro carattere non impegnato e l’aspetto di piacevole decorazione; andavano ad arredare le pareti dell’ambiente dove la famiglia consumava i pasti o si riuniva, per portare, nella vita quotidiana, insieme ad un soffio di realtà esterna, una nota di allegria e di luce data dalle tonalità cromatiche, in genere calde, e dalle scelte luministiche che accentuavano il contrasto con lo sfondo e il ripiano.  Per lo più di medie e piccole dimensioni (cm. 35 x 25) potevano essere allineati in lunghe file sulle pareti.

Giovanni Maria Borri seppe interpretare questa tendenza in modo personale. Colpisce, in molte delle sue composizioni, la semplicità e l’essenzialità; vere copie dal vero rimandano all’ambiente contadino, a cui sarebbe rimasto sempre legato e che rappresenta un distinguo dagli stessi soggetti molto più ricchi e opulenti raffigurati nell’arte fiamminga, a cui venne paragonato (A. Stella, Pittura e scultura in Piemonte, G. B. Paravia 1893).

Non è possibile sapere quanti ne abbia dipinti, ma sicuramente superano di molto i quaranta citati nei cataloghi della Promotrice. È anche difficile completare la loro conoscenza, perché o si ignora il nome di molti dei privati che li acquistarono, o dei successivi passaggi.

La produzione di ritratti, sia maschili che femminili, fu ampia: il pittore delinea con sicurezza il volto e penetra psicologicamente nel personaggio, attraverso lo sguardo, che si carica di sfumature diverse: pensoso, vagamente inquieto, assorto, appagato, sereno, leggermente ironico.

A dare il  giusto rilievo al volto contribuisce lo sfondo, che è, in genere, lineare, uniforme, con tonalità scure e qualche pennellata più chiara. Talvolta c’è l’inserimento di un tendaggio, parzialmente sollevato, dietro cui compare uno spicchio di cielo e un paesaggio accennato. Si può intravedere lo schienale di una poltrona, o qualche mobile a suggerire l'intimità di una casa.

Anche l’abbigliamento ha un suo ruolo: sobrio ed elegante sia nei ritratti maschili che femminili, ma corredato da particolari tanto essenziali quanto significativi per connotare il personaggio, come cappello, bastone da passeggio con pregiata impugnatura, guanti, libro, pennello. O ornamenti femminili: pizzi di colletti e polsini, pieghe della camicetta, spille, collane, orecchini, cuffie, nastri, alla cui riproduzione il pittore, diligentemente attento ai particolari, si dedicava con calligrafica precisione.

Nei soggetti di natura religiosa, sparsi in molte chiese (da ricordare: Sommariva del Bosco, Fossano, Bra, Casalgrasso, Cavallerleone, Ceresole d’Alba, Caramagna Piemonte, Cavallermaggiore, Torino, Poirino, Carmagnola), l’attenzione del pittore si concentra sulla delineazione dei personaggi, di cui cura la disposizione, armonica ed equilibrata, l’atteggiamento e la partecipazione.

Il Borri predilige una Madonna dai lineamenti delicati, vestita con una tunica rossa e avvolta da un mantello azzurro, i colori a lei tradizionalmente attribuiti, di indubbio effetto cromatico. L’espressione pensosa e assorta del volto tradisce l'affetto materno rivolto non solo al figlio, bensì anche agli uomini che guardano verso l’alto a invocare la sua protezione.

Il Bambino, raffigurato mentre dorme placidamente sulle ginocchia o sorretto dalle braccia della madre, rivela sul volto la serenità e, nella posizione del corpo, la tenerezza che l’affetto materno gli trasmette. Le membra del Bambino ben tornite, il viso dai tratti delicati incorniciato con grazia dai capelli, richiamano gli angeli paffuti, curiosi, estasiati, che fanno da giusta cornice alle scene religiose.

Alla Madonna si rivolgono i santi e le  sante riconoscibili dai simboli che li contraddistinguono, dal saio che ne sancisce l’appartenenza all'ordine monastico, dai paramenti sacri che, raffigurati con estrema precisione, visualizzano il grado nella gerarchia ecclesiastica.

I santi sono colti per lo più in atteggiamento meditativo o supplichevole: inginocchiati, le mani giunte, le braccia allargate ad avvalorare la muta preghiera, ad intercedere la protezione sulla comunità, sull’ordine religioso, sul paese.

Nel repertorio artistico del Borri non poteva mancare la rappresentazione della figura del Cristo, capelli biondi, lunghi, lievemente ondulati, lo sguardo per lo più pensoso.

Molte delle opere del Borri, in particolare gli affreschi, sono state eseguite, con soggiorni più o meno lunghi sul posto, ma molte in studio. Ogni pittore, ieri come oggi, possedeva e possiede il suo studio, un locale in cui chiudersi a progettare con schizzi e abbozzi i futuri dipinti, studiando particolari, e, soprattutto, a dipingere quadri. Ne aveva uno nel suo paese d'origine, che mantenne fino alla sua morte; uno a Carmagnola in casa del cognato Antonio Sola, in via Maestra ora via Umberto, che tenne a partire dal 1860, fino al suo definitivo trasferimento a Torino, nel 1873, in via San Francesco d’Assisi, 14.

Il pittore dimostra di prediligere, come tecnica, quella dell’olio su tela, che impiega in soggetti religiosi e ritratti. Materiale che talvolta sostituisce con la latta, cioè con una lamiera di ferro dolce, spalmata su entrambi i lati da uno strato di stagno per impedirne la corrosione, facendo acquistare, con la pittura a olio, particolare lucentezza al soggetto. La latta venne usata spesso per nature morte e ritratti. E, specie, per opere di piccole dimensioni.

Tra le tecniche più usate da Giovanni Maria Borri c’è l’affresco, un modo di dipingere difficile (limitava correzioni e ripensamenti), faticoso e anche rischioso, quando, in passato, bisognava lavorare, in alto, su impalcature sostenute da travi verticali. Si doveva realizzare in sincronia con i muratori che stendevano sul rustico della muratura una mano di arricciato (calcina grezza a superficie scabra), lo bagnavano la sera precedente e nuovamente la mattina dopo, per procedere, sull’arricciato ben saturo d’acqua, ad applicare quella porzione d’intonaco corrispondente alla pittura che  l’artista pensava di realizzare entro la giornata: infatti, doveva dipingere “a fresco”, perché asciugandosi e solidificandosi incorporava i colori.

Testimonianze di affreschi si trovano all’interno di chiese: a Sommariva del Bosco (San Bernardino, Sant’Orsola, parrocchia dei Santi Giacomo e Filippo), su muri esterni di chiese: a Bagnolo Piemonte, Caramagna Piemonte, ma soprattutto su piloni e case private: a Cherasco, Sommariva del Bosco, Racconigi, Murello, questi ultimi, molto compromessi, perché sottoposti all’azione degli agenti climatici; molti sono stati abbattuti assieme alle costruzioni.

La versatilità dell’artista si espresse anche in disegni, che poi sarebbero stati litografati per essere riprodotti su carta in un numero illimitato di copie identiche all’originale. Ne conosciamo alcuni preparati per la collocazione, il 10 settembre 1843, delle reliquie di Santa Vittoria martire nella chiesa di Santa Maria di Testona. Le litografie furono eseguite nella Stamperia e Litografia Doyen e C. a Torino, fondata nel 1833, da Michele Doyen, originario di Digione, che in quegli anni si avviava a diventare la più importante di Torino.

Alcune opere del Borri si trovano in importanti edifici pubblici.

A Torino, in Palazzo Lascaris, nei secoli dimora storica di famiglie importanti, dal 1975 proprietà della Regione Piemonte e sede della sua Assemblea legislativa, troviamo un quadro di Giovanni Maria Borri, databile al 1850. È un ritratto di Vittorio Emanuele II (1820-1878), in divisa militare; la mano destra poggia sul libro dello Statuto. Sullo sfondo, uno scorcio di mare percorso da una nave a vapore.

A Bra, nel  Museo Civico di Palazzo Traversa, si trovano due ritratti: di Luigi Reviglio della Veneria (1843) e di Cesarina Sola (1859).

A Cuneo, nel Museo Civico, allestito nell’ex complesso abbaziale di San Francesco, è possibile ammirare un quadro del genere “natura morta”: oggetti vari, realizzati in rame, su sfondo scuro.

A Sommariva del Bosco, in Sala Giunta del Palazzo comunale, si trovano nove ritratti e tre soggetti religiosi.

Dopo circa due secoli su Giovanni Maria Borri è sceso un oblio ingiustificato. Riscoprire il pittore diventa un obbligo se ci si avvicina alla sua arte.

                                                                                                                       Anita PIOVANO (*)

(*) Studiosa e ricercatrice di arte sommarivese (ndr)

 

FOTOGALLERY della Via Crucis: QUI

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