IL MESSAGGIO DEL PARROCO ALLA NOSTRA UNITA' INTERPARROCCHIALE

autore REDAZIONE SITO / lunedì, 12 dic 2022

Non leggerlo… Può nuocere gravemente alla salute!

 

TESTIMONIANZA

Dovere o responsabilità?

 

“Antonio, alzati perché oggi è domenica e tra poco c’è la messa!”

“Uffa mamma, ma perché devo andare a messa insomma??? Dammi un buon motivo! ”

“Te ne do almeno due: primo, perché sei un cristiano. E secondo… perché sei il parroco della comunità!”

 

Carissimi,

abbiamo iniziato questo nuovo anno pastorale accompagnati dall’esortazione del nostro arcivescovo Roberto, che ci invita a guardarci attorno nelle nostre esperienze quotidiane e scorgere i nuovi germogli di vita cristiana che sono presenti in mezzo a noi. L’invito del vescovo è quello soprattutto di non fermarci dinanzi alle circostanze negative che ci fanno piombare troppo spesso in quelle lamentele facili che egli stesso ha definito ‘geremiadi ’, ma a guardare oltre, per individuare quelle situazioni positive che, seppur ad uno stato iniziale, sono comunque presenti e infondono speranza nel domani. Ed effettivamente ci sono e sono anche tante. Ma vanno custodite, accompagnate, salvaguardate… proprio come si fa con i figli piccoli.

Per noi comunità interparrocchiale si apre il 4° anno di cammino dal mio mandato in mezzo a voi e benedico e ringrazio davvero ogni giorno il Signore per questo dono che mi ha fatto, come ringrazio sempre voi per avermi accolto. Dopo aver camminato nei tre anni precedenti alla ricerca dell’autenticità, nel prenderci cura dell’altro e nel creare relazioni, quest’anno, come vi accennavo nel mese di settembre, il nostro cammino passa attraverso la testimonianza. Non siamo ancora maturati negli altri tre, è vero, ma il nostro è un cammino lungo e che ha bisogno di sperimentare ciò che impara: vediamo quanto e se siamo diventate persone più autentiche, se riusciamo ad ammettere i nostri errori e non solo riconoscere i nostri pregi; vediamo se riusciamo a caricarci dei pesi degli altri e a non passare indifferenti; vediamo, ancora, se sappiamo creare relazioni tra di noi, facendo un passo indietro dal nostro ego e uno avanti verso l’altro.

Ed allora in quest’anno mettiamoci alla prova, se vi va! Vediamo se riusciamo ad essere dei buoni testimoni o se e che cosa invece dobbiamo cambiare ancora. Dopo il ritiro di settembre svolto alla certosa di Pesio, lo Spirito Santo ha davvero aperto dei cuori e ispirato delle menti, aiutandoli a ri-considerare la propria vita cristiana. Qualcuno ha finalmente trovato il coraggio di porsi delle domande; di chiedersi ad esempio: Perché credere? Andare a messa che senso ha? Devo per forza ricevere i sacramenti? Cosa implica il mio battesimo?

Domande più che lecite in un tempo ed in una società che confonde, o nega ormai, delle verità storiche con quelle programmate del Metaverso che proietta il mondo sempre più nell’era virtuale. (Ne vedremo delle belle!)

Anche queste domande però, a mio avviso, rappresentano a loro volta dei germogli: sapere che c’è chi s’interroga e prende decisioni al netto… è un germoglio di onestà intellettuale. È la tiepidezza purtroppo, invece, che offende la dignità umana e del cristiano. Quella di chi non si interroga o sta con un piede in due scarpe, come si suol dire, senza avere il coraggio di prendere decisioni vere e fare tutto perché così si è sempre fatto o si deve fare o perché non si dica che. Non riuscire cioè ad essere né caldo e né freddo, come dice l’Apocalisse, ed essere così vomitato dalla bocca, perché disgustoso. (Ap. 3,14-20)   

Ora, veniamo al dunque. Interroghiamoci, cristiani, su come viviamo la nostra fede: è per me un dovere o una responsabilità?

Cominciamo dal dovere. Il dovere scaturisce da un obbligo che ci viene imposto da altri o che ci imponiamo per vari motivi: convenzione sociale, senso di colpa, impegni inderogabili, scadenze e così via. La parola “devi ”significa che stiamo dando un ordine rigido in cui le persone non sono invitate a ragionare, ma semplicemente ad eseguire

Responsabilità è una parola che deriva dal latino Respòndere. Ciò significa che la responsabilità è una risposta che, ovviamente, segue una domanda e non un’imposizione. Preferisce il ‘vuoi’ al ‘devi’. Si accompagna alla libertà di scegliere. Ha una motivazione che la sostiene e che attiva in chi agisce delle conseguenze positive, che non fanno ‘pesare’ i lavori che si svolgono malgrado possano stancare fisicamente (es. del genitore che lavora tutto il giorno per amore dei figli).

E soprattutto, aggiungerei, vi è una differenza sostanziale tra il dovere e la responsabilità: si chiama cuore.

Il dovere ci fa eseguire anche in maniera impeccabile i nostri compiti; la responsabilità ce li fa amare mentre li svolgiamo. Se non metti il cuore, la passione, il sacrificio, nella risposta, allora tutto può essere incomprensibile: Gesù ce lo ha insegnato nel Getsèmani, egli risponde alla volontà del Padre (Gv. 12,20-33).

La testimonianza quindi si avvale della responsabilità: testimonio perché RISPONDO all’Amore e non perché devo. Quante volte lo avrò già ripetuto nelle omelie o negli incontri questo pensiero… e lo ripeteremo ancora, perché se vogliamo una Chiesa aperta e nuova, non dobbiamo pensare di cambiare o adeguare qualcosa al di fuori di noi. Per vedere una Chiesa nuova ho bisogno di purificare i miei occhi, che tradotto significa ‘guardare con gli occhi di Gesù’, in modo cioè sempre nuovo. Io chiedo un aiuto e collaborazione che non siano per me, per rendermi contento, o buono, ma per la Chiesa. Sogno cioè di vedere una ri-generazione che sia un beneficio per tutti, dove comprendiamo la reale utilità delle scelte che si fanno, lontani dalle critiche facili e dal pregiudizio, nella condivisione, intendendo il vero valore delle cose, della loro tutela, nel rispetto della storia e delle tradizioni, nostre e degli altri; dove le cose si fanno con lo spirito giusto del servizio e non del ‘protagonismo gestionale’. Una chiesa, quindi, che non sembri un’azienda, ma piuttosto sia una famiglia che accoglie nella diversità. Una Chiesa del servizio, inteso come valore insegnatoci dal Maestro e non una Chiesa ‘dei servizi’, dove ci si reca per chiedere solo del certificato di battesimo/cresima per  esercitare il ruolo di padrino (senza sapere magari cosa significhi), dove il cambiamento che vorrei vedere intorno a me, inizi anzitutto da me.

La testimonianza dev’essere quella di Cristo. Le fazioni che a volte si creano all’interno degli stessi gruppi di animazione parrocchiale non danno una buona testimonianza. E’ il servizio, bisogna ribadire, e non il protagonismo, che deve esserci  alla base del nostro fare.

Non è un testimone di Cristo chi pensa di trovare nella Chiesa il luogo per un suo personale riscatto dai fallimenti o dalle situazioni irrisolte della vita.

Non è un testimone di Cristo chi pensa di usare la superbia al posto dell’umiltà nel praticare il proprio servizio.

Non è un testimone di Cristo chi non è aperto a vivere nella comunione con gli altri e nella stima reciproca.

Non è un testimone di Cristo chi non custodisce il sacramento che ha ricevuto nella messa e lo ‘disperde’ subito nelle critiche verso gli altri o nei saluti intenzionalmente negati all’uscita della messa.

Non sono un testimone di Cristo quando giudico, da battezzato, la Chiesa e non faccio nulla per cambiarla, magari cominciando da me.

Non è un testimone di Cristo chi approfitta del dolore degli altri, utilizzando il tempo della preghiera del rosario ai defunti magari per riorganizzare i messaggi del suo smartphone.

Non è un testimone di Cristo chi dice di credere nella comunità ma poi non partecipa mai agli appuntamenti.

E la lista potrebbe continuare… ma, attenzione: essere testimoni non significa essere perfetti, quanto piuttosto acquisire la consapevolezza che, nonostante i miei peccati e le mie incapacità, la Grazia di Dio mi supera, mi vince e mi converte. Noi diveniamo così testimoni dell’Amore, come il lebbroso purificato, come Zaccheo,  l’adultera, l’emorroissa, Pietro e gli altri discepoli.

Essere testimoni di Cristo significa mettere impegno, costanza e rinuncia a volte, in tutto quello che si fa per Lui e per i fratelli.

Se ti senti testimone, chiediti perché fai ciò che fai. Se lo fai perché credi in Cristo o perché credi in te stesso e nelle tue capacità. Se credo in Cristo, so che non tutto può dipendere da me e comprendo quel ‘Sia fatta la tua volontà’.  Se invece credo solo o troppo in me stesso, davanti  alle difficoltà o ai dinieghi dirò: “Non può essere questa la volontà di Dio!”  (solo perché in realtà non coincide con la mia) e sfogherò le mie incapacità su di Lui e su chi mi sta accanto.

La responsabilità di essere cristiani quindi, miei cari, naturalmente ci farà amare ciò che siamo e ciò che facciamo al Cristo che scorgiamo nella sorella,  nel fratello, anche in quello più antipatico a volte. È Cristo che mi chiama ad amare oltre la misura e il calcolo: “Se amate solo quelli che vi amano, quale merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso” (Mt. 5,46)

L’apostolo Paolo va addirittura oltre, perché usa la parola dovere per ribadire che per lui, annunciare il vangelo, quindi testimoniare, “è una necessità che mi si impone” (1 Cor. 9,16). Paolo cioè, è già in quella fase del cristiano in cui, dopo aver risposto all’Amore che lo ha chiamato, non può fare a meno di testimoniarlo perché vive PER quell’Amore, vive GRAZIE a quell’Amore… anzi, quell’Amore vive addirittura dentro di lui: “Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me!” (Gal. 2,20)

In questa attesa dell’Avvento di Cristo, carissimi, vi giunga il mio augurio: sarebbe bello poter approfittare di un nuovo tempo che si è aperto dinanzi a noi, per iniziare un tempo nuovo di cambiamento, in cui ciascuno di noi, accogliendo il Cristo veniente, si lasci stupire da questo Germoglio e gli permetta di prendere dimora nel proprio cuore. Auguri di Buon Natale a tutti!    

Vi voglio bene.

Vostro don Gianluigi